mercoledì 25 settembre 2013

PASSO 3- PAROLE CHIAVE

In questa sezione indicherò alcune parole chiave russe e situazioni tipo, per cominciare a "masticare" la lingua e poter avviare conversazioni basilari.

1)CONOSCIAMOCI познакомимся

-SALUTARE qualcuno
In russo esistono parole diverse per salutare qualcuno quando si arriva e quando si va via.
-Сдравствуйте! (sdràvstvuite!) Salve, buongiorno (saluto formale, si dice alle persone che non si conoscono bene, all'arrivo)
-Привет (privèt)  Ciao (informale, si dice agli amici, all'arrivo)
-До свидания (da svidània)  Arrivederci (formale, per congedarsi)
-Пока  (pakà) Ciao (per salutare, informale, per congedarsi)
-In russo si usa salutare formalmente anche in base al momento della giornata in cui si incontra qualcuno:
-Доброе утро (dòbroe ùtra)   Buon mattino
-Добрый день  (dòbrij dièn) Buon giorno
-Добрый вечер  (dòbrij viècher) Buona sera
-Спакоиной ночи  (spakòinoi nòchi)  Buonanotte
-In russo alle persone sconosciute si dà del "voi"(equivalente al nostro lei) e agli amici del "tu". Dare del voi è un segno in generale di rispetto che si usa persino con i bambini, se sono sconosciuti.
-Как дела? (kak dilà?) Come va? (letteralmente significa: come (vanno) gli affari?)
-Как поживаешь? (kak pazhivàesh?)  Come te la passi (molto informale)
-Как себя чувствуешь?/чувствуете?  (kak sibià chùvstvuiesh/chùstvuiete) Come ti senti/si sente?
-Как ты?/ Как вы? (kak ty? vy?)   Come stai/sta?
-Какая у Вас погода сегодня?  (kakàya u vas pagoda sievòdnya) Che tempo c'è oggi da voi?
-COME TI CHIAMI?
In russo per esprimere la domanda "come ti chiami" si usa la formula, letteralmente: "come chiamano te/voi/lei ecc...?, in cui si usa la terza persona plurale impersonale del verbo chiamare (звать) preceduto dal complemento oggetto della persona in questione (che invece in italiano è soggetto). Trovo questa formula linguistica molto interessante e persino più appropriata, più conforme al significato di ciò che vuole esprimere. In effetti non sono io che mi chiamo, ma gli altri a chiamarmi!
-Как тебя/Вас зовут? (kak tibià zavùt)  Come ti/si chiami/chiama?
-Меня зовут..... (minià zavùt)  Mi chiamo....
-Очень приятно (òchen priàtno) Molto piacere, piacere (di conoscerti)
-CONGEDARSI con FORMULE
Quando ci si congeda, in russo, oltre a dire "arrivederci" o "ciao", si usa, come in italiano, aggiungere qualche precisazione formale, come ad esempio: "a presto, ci vediamo, a lunedì, ecc". In russo questo concetto si esprime con la particella до, che ha tanti significati, ma in questo caso significa "a..." seguita dal nome al caso GENITIVO.
-До свидания (da svidània), letteralmente: all'appuntamento
-До встречи (do vstrèchi) Ci vediamo (lett: all'incontro)
-До скорого (do skòrova)  A presto
-До понедельника/ вторника (do panedièglnika/ftòrnika) A lunedì/martedì
-Увидимся! (uvìdimsya)  Ci vediamo
-QUANTI ANNI HAI
In russo questa domanda si esprime letteralmente con la formula: "quanto a te/lei/voi ecc...di anni?", e la risposta è: "a me (sono) ....anni" dunque con l'avverbio , quanto, che regge sempre il GENITIVO del nome a cui si riferisce (in questo caso: anni, il cui genitivo plurale è un caso particolare ed è uguale al nominativo), e con il nome della persona che ha una determinata età al caso DATIVO.
-Сколько тебе/ вам лет?  (skòlka tibiè/vam lièt)  Quanti anni hai/ha?
-Мне ..... лет   (mne .... lièt)  Io ho....anni
-Где ты живёшь?/ вы живёте? (gdè ty zhiviòsh?/zhiviòtie)    Dove vivi/vive?
-Откуда ты/вы? (atkùda ty/vy?)  Di dove sei/è?
-Я- из Италии.  (yà iz Itàlii)   Io vengo dall'Italia
-Я- итальянец/ итальянка (ya italiànez/italiànka) Io sono italiano/italiana
-Я живу в Италии, в Милане  (yà zhivù v Itàlii, v Milànie) Io vivo in Italia, a Milano

martedì 24 settembre 2013

PASSO 2- MATERIALI DIDATTICI e grammatica russa

Per cominciare ad approcciarsi alla lingua russa, è senz'altro necessario avere un dizionario. Io ho il Kovalev, ed è molto buono. Riguardo ai libri di grammatica, il primo "bigino" che acquistai fu "Grammatica russa facile" di Anjuta Gancikov, edizioni Avallardi. Si tratta di un libro piccolo e molto funzionale, perché spiega in breve tutti gli aspetti della grammatica russa. Naturalmente, esistono migliaia di opzioni su questo genere. Consiglio comunque per cominciare un libro di grammatica che dia una panoramica generale e non troppo approfondita, in modo da iniziare a farsi un'idea (per entrare nello specifico c'è tempo!).
Cominciamo a vedere gli aspetti basilari della grammatica russa:
1) NON ESISTONO GLI ARTICOLI
Nella lingua russa non hanno gli articoli, e questo è il motivo per cui, quando imitiamo un russo che parla italiano, parliamo senza articoli- si tratta dell'errore più comune dei russi, quello di ometterli totalmente oppure di confondere l'articolo determinativo con quello indeterminativo, proprio perché nella loro lingua non li hanno.
A noi italiani occorre dimenticare del tutto gli articoli se vogliamo parlare russo. Questa è una delle poche semplificazioni che dobbiamo fare per imparare la lingua. Non cantate vittoria, il resto è tutt'altro che semplice!
2) NON ESISTE IL VERBO ESSERE AL PRESENTE
Su questo ho già fatto cenno in un precedente post. E' una straordinaria curiosità della lingua russa, quella di non usare la forma verbale dell'essere al presente, pare assurda e primitiva, in realtà secondo me nasconde una visione profonda e filosofica del mondo, per cui l'attimo presente è indicibile perché, non appena pronunciato, è già sparito, sprofondando nel passato. Grammaticalmente parlando, in russo per dire: "io sono Giovanni" diremo "io- Giovanni" (il segno - , cioè il trattino, serve a sostituire il verbo), e così via per dire "egli è felice" diremo "egli- felice" e così via. Naturalmente possiamo usare altri verbi per esprimere concetti molto simili a quello dell'"essere", ma con sfumature leggermente diverse. Un verbo sostitutivo da usare al presente è существовать, che significa "esistere"; un altro, являться , significa "essere" nel senso di "rappresentare", "distinguersi come". Naturalmente esiste un'eccezione: il verbo essere esiste al presente solo alla 3 persona singolare nella forma di: есть, e si usa sia per la costruzione del possesso (vedi punto 6) sia semplicemente per formulare o rispondere alla domanda: "c'è?" (è sottointeso sempre: a chi?)
3) CI SONO 3 GENERI
In russo, come in latino e greco ad esempio, ci sono 3 generi: maschile, femminile e neutro (letteralmente, in lingua russa, il genere neutro si chiama "medio", средный род). Il fatto che una parola sia di genere neutro vuol dire necessariamente che è inanimata, ma parole inanimate esistono in abbondanza anche di genere maschile e femminile; occorre dunque dimenticare quasi totalmente l'italiano nel classificare una parola come maschile femminile o neutra, perché in russo le cose stanno diversamente. Ad esempio, per i russi le parole "programma" (программа) e "amore" (любовь) sono femminili, la parola "matita"(карандаш) è maschile, la parola "finestra"(окнo) è neutra.
Per distinguere un genere e applicare poi la relativa declinazione si deve guardare la terminazione della parola.
-Genere maschile  (мужской род)
Generalmente, le parole maschili terminano in consonante (стол, студент, отец) ma esistono anche parole maschili che terminano con consonante più segno molle (словарь, учитель, день) oppure con la й preceduta da vocale (музей, герой, соловей). Infine ci sono alcune parole maschili che terminano in -a, -я, -ья come le femminili, si declinano come le femminili ma indicano persone di sesso maschile (папа, мужчина, дедушка, коллега).
-Genere femminile  (женский род)
Le parole femminili terminano in -a e in -я (мама, тётя, луна, школа, неделя, семья) oppure in consonante + segno molle (любовь, дочь, дверь)
-Genere neutro (средный род)
Le parole neutre terminano in -o (окно, место, дело, молоко) , oppure in -e, -ье, ьё, ие  (море, поле, платье, бельё, здание) infine in -мя (имя, пламя, время).
-Parole invariabili
Ci sono parole neutre che non si declinano, generalmente di origine straniera: такси, метро, пальто, кафе, бюро.
4) CI SONO 6 CASI
Nuovamente come in greco antico e latino, in russo ci sono i casi (падежи) e le relative declinazioni (склонеиия). In questo modo in russo non occorre usare le preposizioni, basta semplicemente declinare la parola nel caso che occorre. Esistono sei casi in lingua russa:
-NOMINATIVO (именительный падеж) risponde a: chi? che cosa? ed è il caso del soggetto
-GENITIVO   (родительный падеж) risponde a: di chi? di cosa? ed esprime il complemento di termine
-DATIVO   (дательный падеж) risponde a: a chi? a che cosa? ed esprime il complemento di termine
-ACCUSATIVO   (винительный падеж)risponde a: chi? che cosa? ed è il caso del complemento oggetto
-STRUMENTALE   (творительный падеж) risponde a: con chi? con cosa? e può esprimere complemento predicativo oppure di materia, strumentale
-PREPOSITIVO   (предложный падеж) risponde a: di chi? di che cosa? ed esprime il complemento di argomento.
-Bisogna osservare subito che in russo esiste una distinzione grammaticale tra sostantivi che indicano persone animate (dunque anche animali) oppure oggetti inanimati. Questo si ripercuote sul caso ACCUSATIVO, che cambia a seconda del nome che indica. Se il nome indicato è animato, esso all'ACCUSATIVO sarà UGUALE AL GENITIVO, sia al singolare, che al plurale; se il nome, invece, è inanimato, l'accusativo sarà uguale al NOMINATIVO sia al singolare che al plurale.
5) CI SONO 3 FORME dei 3 tempi verbali principali: presente, passato e futuro.
In russo esiste una sola forma per il tempo presente, per il passato e per il futuro. Il congiuntivo e il condizionale si esprimono, ma non con una particolare coniugazione (vedremo poi che, come per l'inglese, il condizionale si esprime con la forma verbale al passato).
Esistono poi i tempi, come in italiano, di INFINITO, GERUNDIO, IMPERATIVO e PARTICIPIO.
6) LA COSTRUZIONE DEL POSSESSO
Il verbo avere in russo si esprime, come in latino, con la formula "a me è" у меня есть..., costruita usando la particella y seguita dal caso GENITIVO e dal caso NOMINATIVO della cosa che possediamo, che dunque è soggetto della frase- e questa è una delle uniche situazioni in cui si usa il verbo essere al presente есть (esiste solo in terza persona e da usare come ausiliario).
Vediamo un esempio: у меня есть книга io ho un libro, lett: "a me è un libro"
у него есть карандащ   lui ha una matita, lett: "a lui è una matita"
у родителей есть квартира, i genitori hanno un appartamento, lett: "ai genitori è un appartamento".
Naturalmente anche in questo caso si può usare un verbo che esprime possesso: il verbo иметь. Si tratta di un'alternativa alla costruzione del possesso come indicato sopra, e significa "possedere".
7) LE COPPIE ASPETTUALI di PERFETTIVO e IMPERFETTIVO
Forse uno degli aspetti più complessi del russo è la distinzione nei verbi tra la forma PERFETTIVA (совершенный вид) e IMPERFETTIVA (несовершенный вид). Su questo aspetto tornerò diffusamente perché è davvero ostico da comprendere e da usare correttamente per gli italiani (come per tutto il resto del mondo, perché è una formula che hanno solo i russi). Ogni verbo in russo ha due forme, chiamate "coppia aspettuale": quella perfettiva e quella imperfettiva, che a loro volta devono essere applicate ai tempi verbali.
Queste forme generalmente si ottengono aggiungendo un prefisso ad un verbo, ad esempio il verbo "leggere"читать, imperfettivo, ha la sua forma perfettiva in: прочитать.
Il presente ha solo la forma imperfettiva, mentre gli altri tempi verbali hanno sia quella perfettiva che quella imperfettiva. Si tratta del modo per esprimere in russo sfumature linguistiche (tutt'altro che superflue) riguardo all'azione verbale: se un'azione è in fase di processo, continuativa, o ripetuta più volte si usa la forma imperfettiva, se un'azione ha prodotto un risultato, è compiuta o è accaduta una sola volta, si usa la forma perfettiva. Questo in il linea molto generale. Le domande che possono sorgere sono davvero molte, perciò rimando ad una spiegazione esaustiva prossimamente.

lunedì 23 settembre 2013

PASSO 1- Cominciamo dall'ABC, anzi...dall'А Б B

Ok, partiamo dall'alfabeto cirillico russo. Favoloso, con quelle sue lettere che ricordano un po' il greco antico. Informazioni basilari al riguardo si possono reperire su Wikipedia, banalmente: http://it.wikipedia.org/wiki/Alfabeto_cirillico
Premetto che c'è una grossissima ed insidiosa difficoltà nascosta dietro quelle affascinanti iscrizioni, ovvero...la differenza consistente tra lo stampatello ed il corsivo. Mentre lo stampatello maiuscolo e minuscolo (quello dei libri) sono molto chiari, il corsivo russo è un vero dramma. Molte lettere si assomigliano e all'inizio vi sembrerà di non capire assolutamente nulla, ma non voglio scoraggiarvi. C'è poco da fare, bisogna impararlo, provare a scriverlo e non crucciarsi se non riusciamo a capire la scrittura altrui (persino la propria inizialmente sarà incomprensibile!). Questo dipende semplicemente dal fatto che ignoriamo alcune parole, perciò non riusciamo ad indovinare se un certo segno sta per "m" o per "i", perché non lo deduciamo dal contesto. Un'altra premessa scoraggiante riguarda gli accenti. Le parole russe hanno naturalmente un loro personalissimo accento, (udarènie, ударение, dalla parola russa udàr, удар =colpo, accento appunto) che non è possibile dedurre se non imparandolo in ogni parola a memoria. Dall'accento dipende anche la pronuncia, perché, in particolare a Mosca, la lettera "o" viene pronunciata come una sorta di "a" o un misto tra "a" e "o" se e solo se NON è accentata. Ad esempio, la parola собака (=cane) si pronuncia "sabàka", in quanto l'accento non cade sulla "o". La parola молоко (=latte) si pronuncia "malakò" in quanto l'accento cade sull'ultima "o", che rimane dunque invariata a livello di pronuncia, ma le altre due "o", non essendo accentate, si pronunciano come una sorta di "a"(per essere precisi, più la lettera O si trova lontana dall'accento, più diventa quasi muta: la si pronuncia appena, dunque latte si direbbe: "mlakò").
Anche questo è un aspetto piuttosto strano della lingua russa, che normalmente sorprende (per lo meno, io ero perplessa), ma poi ci si fa l'abitudine e diventa qualcosa di automatico.
Ma vediamo nel dettaglio l'alfabeto, composto di 33 lettere di cui:
-21 consonanti: б, в, г, д, ж, з, к, л, м, н, п, р, с, т, ф, х, ц, ч, ш, щ.
-La lettera й è considerata una semi-consonante.
-10 vocali: а, э, ы, у, о, я, е, ё, ю, и.
-Segni di per sé afoni: il "segno molle" (ь) chiamato мягкий знак  e il "segno duro" (ъ) chiamato твёрдый знак. Troverete la spiegazione approfondita di questi segni al punto 4 qui sotto.
-4 dittonghi (Я-ya, Ю- iu, Ё- yo, Е- ie- quest'ultimo non è un vero e proprio dittongo ma per questioni di pronuncia lo considererei tale)
Vorrei far notare che le principali difficoltà derivano da:
1) Confusione del suono della lettera B, che si pronuncia "V" invece che "b" come per noi. La lettera Б, invece in russo è il segno corretto per pronunciare il suono "b".
2) Confusione tra il suono della "s" dolce, espresso dal segno "С", e della "s" dura, espresso dal segno "З". Poiché in italiano abbiamo un unico segno che indica il suono "s", e si può pronunciare sia in modo dolce, come in "santo", che duro, come in "caso", a seconda anche dei dialetti, molto spesso noi italiani tendiamo in russo a non fare differenza di pronuncia tra queste "s". Per loro invece è molto importante, perciò bisogna fare attenzione. Ugualmente, in italiano abbiamo un'unica lettera, la zeta, per indicare indistintamente il suono duro, come in "ozio" o molle, come in "Zara". In russo no. Per il suono duro esiste una nuova lettera specifica, la Ц; per il suono molle, come già detto, si usa invece il segno "З".
3) Pronuncia del suono "Ы", che si scrive con due lettere ma si pronuncia con un unica, gutturale, difficile emissione vocale che sta tra la "i" e la "u". Il suono richiama quello di certe vocali tedesche con la dieresi o anche del dialetto milanese, ma dimenticate quelle pronunce. Il suono russo ы ha la sua specifica e peculiare pronuncia, e non resta che esercitarsi (si, è buffo, lo so) a produrre questo nuovo suono con la lingua e il palato. Personalmente, ci ho messo 6 mesi a dirlo correttamente e a farlo automaticamente entrare nella mia pronuncia del russo.
4) Difficoltà con il segno molle e il segno duro. Eccoci ad un punto che odio e amo, i magnifici segni afoni. Partiamo dal segno molle, il мягкий знак, espresso dalla letterina "b". Di per sé, preso da solo, non ha suono, ma riesce a modificare quello della consonante che lo precede, rendendola più morbida (di qui il suo nome). Per i russi è molto importante pronunciarlo correttamente, altrimenti potrebbero persino non capire certe parole. Ad esempio, prendiamo la parola lunedì- in russo понедельник. Si pronuncia "panedélnik", ma fate attenzione: il suono "l" dev'essere pronunciato come il nostro "gl", in virtù del segno molle ь che segue la Л. Ugualmente, questo segno addolcisce la consonante "T", e per esempio tutti i verbi russi all'infinito, che terminano con T e segno molle, la  T si pronuncia non attaccando la punta della lingua al palato (il suono in questo modo risulta molle, una sorta di "th"-"ch" inesprimibile per iscritto).
Il segno duro, твёрдый знак, invece, sta tra una consonante e una vocale per indicare che la consonante non va palatalizzata, e che la vocale che precede va preceduta dal suono "i". Qui nessuna grossa difficoltà di pronuncia. La parola объявление, annuncio, si pronuncia scandendo bene: "abyavlénie".
5) Un altro suono nuovo è quello della semiconsonante й, detta и краткая, cioè "i"breve. Si pronuncia come una i rapidamente e ben scandita. Allunga la "i" russa, ad esempio in Кандинский, Kandinskij, in cui dovreste pronunciare due volte il suono "i", di cui la seconda volta in modo più breve.
6) Un'altra cosa che colpisce da subito è l'estinzione del segno ё. Questo segno, che si pronuncia con il dittongo "yo", sempre accentato, è praticamente scomparso dalla stampa russa per questioni economiche (la dieresi in cima ha un costo di stampa!) ma anche perché ritenuto pleonastico. ATTENZIONE: è scomparso il segno grafico, ma non la lettera in sé, né la sua pronuncia. Personalmente trovo tutto ciò molto triste, perché a me sta simpatica quella "e" con i due puntini sopra, ma soprattutto mi aiuta a capire come pronunciare una parola. Dal momento che, però, lo incontrerete pochissimo, perché ormai è stato reso identico alla lettera "e" (che in russo si pronuncia quasi sempre "ie") l'unica cosa da fare, di nuovo, è imparare a memoria le parole russe che lo contengono, e sapere che a volte bisogna pronunciare una determinata "e" non come "ie" ma come "yo", tutto ciò deducendolo unicamente dal contesto o dalla conoscenza della singola parola.
7) I gruppi di lettere его, ого quasi sempre si pronunciano non come sembrerebbe "ego", "ogo", ma: "evo", "ovo", ovvero la lettera Г, inspiegabilmente, si pronuncia come la B. Anche questa regola va semplicemente assunta come tale e memorizzata. Sicché l'espressione: "она его любит", lei lo ama (lei ama lui) si pronuncia: "anà ievò liùbit".
8) Il suono X si pronuncia come la "h" aspirata, simile al tedesco. Ad esempio хорошо, bene, si pronuncia "harashò", aspirando l'acca iniziale.
9) La lettera "E" va distinta dalla lettera "Э" in quanto la prima si pronuncia come il dittongo "ie", mentre la seconda come una normale "e"aperta.
10) Infine, la difficilissima distinzione di pronuncia tra la lettera Ш e la lettera Щ con il gambetto a destra. Anche in questo caso personalmente ho impiegato mesi per assimilarla. I russi, se pronunciate la prima uguale alla seconda se ne accorgono, perciò fate attenzione a distinguerle. La prima si pronuncia "sh", in modo rapido e pulito, mentre la seconda è più lunga: "shh" e sembra quasi che si pronunci, dopo la "h", una flebile "i" o un "ch".

carattere stampatello e corsivotraslitterazione
ISO 9:
traslitterazione
anglosassone
pronuncia
А а А аAAa
Б б Б бBBb
В в В вVVv
Г г Г гGGg di "gatto"; v nei gruppi "-егo" e "-огo"
Д д Д дDDd
Е е Е еEYe, Eie di "ieri"
Ё ё Ё ёЁYoio di "iota", sempre accentata
Ж ж Ж жŽZhj del francese "jardin"
З з З зZZs sonora di "sbaglio"
И и И иIIi
Й й Й йJJi breve, come in "iato"
К к К кKKc dura di "casa"
Л л Л лLLl
М м М мMMm
Н н Н нNNn
О о О оOOo
П п П пPPp
Р р Р рRRr
С с С сSSs sorda di "sì"
Т т Т тTTt
У у У уUUu
Ф ф Ф фFFf
Х х Х хCHKhch del tedesco "achtung"
Ц ц Ц цCTsz sorda di "ozio"
Ч ч Ч чČChc dolce di "ciao"
Ш ш Ш шŠShsc di "scivolo"
Щ щ Щ щŠČSchcome il precedente, palatalizzato
Ъ ъ Ъ ъ"""segno duro", non palatalizza la consonante precedente (la consonante non ha particolarità nella pronuncia)
Ы ы Ы ыYY"ery", "i" centrale, pronunciata alzando il corpo della lingua verso la sezione centrale del palato
Ь ь Ь ь''"segno debole", palatalizza la consonante precedente (la consonante deve essere pronunciata con il corpo della lingua che tocca la sezione alveolare del palato)
Э э Э эĖEe di "ecco"
Ю ю Ю юJUYuiu di "iuta"
Я я Я яJA

Ya

 
ia di "iato"



 

Imparare il russo in 9 passi

Alcune delle sezioni di questo blog saranno dedicate a chi è interessato ad imparare la lingua russa. Intendo dare alcune indicazioni e fornire gratuitamente lezioni preliminari online per i neofiti. Le mie saranno solo dritte e non vere e proprie lezioni online (per adesso), in modo da dare qualche consiglio a chi si accinge per la prima volta a studiare il russo e non sa da dove cominciare.
Partirò da qualcosa di certo e di semplice: la mia esperienza personale. Indicherò 8 punti, i quali successivamente verranno approfonditi singolarmente e per esteso.
1)ALFABETO ED INFORMAZIONI PRELIMINARI
All'inizio cercai su Internet l'alfabeto cirillico, che da sempre mi affascinava, e trascrissi le lettere su un quaderno (con relativi suoni per comprenderne la pronuncia) per cercare di memorizzarle meglio e di cominciare a familiarizzare con la scrittura russa. Consiglio vivamente di utilizzare il buon vecchio quaderno perché credo sia il modo migliore per memorizzare i vocaboli, ma anche per non rimanere indietro nella scrittura del russo e ritrovarsi a saper parlare ma non scrivere bene.
2)STRUMENTI DIDATTICI
Il secondo passo fu quello di acquistare un dizionario italiano- russo e russo-italiano e un libro di grammatica russa per principianti (in libreria ne trovate a bizzeffe). Più ne acquistate meglio è. Naturalmente in Russia sono più forniti, hanno moltissimi manuali specifici, ma anche in Italia potrete trovare degli ottimi libri di grammatica russa nelle librerie specializzate ma anche in università.
3)PAROLE CHIAVE
Il terzo passo fu quello di scrivere le parole chiave per una comunicazione basilare su un quaderno. Fate riferimento per una traduzione esatta di qualunque vocabolo vi venga in mente soltanto ai dizionari e non a Google Translate, perché contiene tantissimi errori di significato e non è preciso.
4)STUDIO COMBINATO
Il quarto passo fu quello di iniziare a leggere il libro di grammatica, dove sono spiegate le basi della struttura della lingua russa, e procedere parallelamente con il libro e con il dizionario ad imparare sia la grammatica russa che il maggior numero possibile di vocaboli utili (numero ahimè inesauribile!).
5)VIAGGIO IN RUSSIA
Il quinto passo fu andare in Russia- la prima volta per un mese, poi per 3 mesi. Fu una decisione imprescindibile. Non si può imparare una lingua, a mio avviso, senza andare sul posto e interagire con le persone. Visitare la Russia mi permise di capire per la prima volta davvero che cosa fosse, come fosse la cultura russa, come i russi parlassero e vivessero. Mi permise anche di innamorarmi di Mosca, ma questa è una storia personale.
6) CORSI DI LINGUA RUSSA
 Il sesto passo fu iscriversi in Russia ad un corso di lingua russa per stranieri. Quello che io scelsi fu all'Università statale Lomonosov (MGU) di Mosca. Lo consiglio vivamente perché gli insegnanti sono altamente qualificati, i costi abbastanza contenuti (10 euro all'ora per lezioni collettive, 12 per individuali) e l'atmosfera molto interessante (la grande ed imponente università sovietica, la possibilità di alloggiare nel dormitorio a prezzo ridotto e vivere fino in fondo l'esperienza russa, nel bene e nel male).
Chi non avesse la possibilità di recarsi in Russia, naturalmente, può frequentare corsi in Italia, diurni o serali. Ce ne sono di ottimi, anche quelli comunali pare siano buoni non soltanto a livello di costo ma anche di qualificazione degli insegnanti.
7) CERTIFICATI
Ottenere un certificato di lingua russa è sicuramente utile per trovare lavoro. L'esame di russo riconosciuto a livello internazionale più noto è il TORFL (russo come lingua straniera), che consiste in 4 livelli e alcuni sottogruppi. Si può effettuare in Italia (ma solo in alcune città ed in base alle sessioni, che sono due volte l'anno), oppure in Russia (preferibilmente a Mosca) in qualsiasi momento.
8)LAVORARE CON LA RUSSIA
Il settimo passo fu cercare lavoro pertinente alla Russia, per continuare a tenere allenata la lingua. In questo caso io fui particolarmente fortunata, perché ebbi la possibilità, sin dai miei primi passi come interprete, di viaggiare e di soggiornare anche 4 mesi in paesi russofoni. Interagire continuamente in russo con persone del luogo fu ciò che diede la svolta principale alla mia conoscenza del russo. Anche in questo caso, tenterò di darvi dei consigli su come trovare lavori in Russia o con la Russia.
9)TENERSI IN ALLENAMENTO
Parallelamente, un ovvio consiglio che posso dare a tutti per tenersi in allenamento con il russo è quello di scaricare film in russo (sul social network russo Vkontakte ce ne sono parecchi che si possono vedere gratis, altrimenti si possono comprare dvd in negozi russi), guardare la tv russa con il satellite (se ne avete la possibilità. I telegiornali sono difficilissimi da comprendere perché usano un linguaggio tecnico, rapido e supportato da immagini ma molto veloci; il Pervij Canal invece è un ricettacolo di cavolate e di programmi di livello davvero basso, quasi imbarazzante a volte, ma permette di imparare espressioni gergali e di comprendere le espressioni colloquiali dei russi e la loro cultura a livello popolare. E' come guardare Mediaset, per intenderci), comprare libri in russo, o in italiano con testo russo a fronte. Un'altra cosa utilissima è farsi amici russi con i quali uscire anche solo semplicemente a farsi una passeggiata, ed obbligarli a parlare russo (saranno reticenti perché si romperanno le scatole, dal momento che ci metteremo 5 minuti ad esprimere un concetto, ma l'amicizia è fatta anche di queste cose!).
Questa è soltanto un'indicazione sommaria e preliminare. Nelle mie prossime pubblicazioni entrerò nel dettaglio di ogni punto e spero vi sarà utile leggere i miei consigli.
Grazie a tutti e in bocca al lupo!

Le serate a Mosca, "Podomoskovnie vechera"

Su richiesta di una gentilissima lettrice, parlerò della famosa canzone sovietica "Podmoskovnie vechera", tradotta in italiano come "Le serate a Mosca" e scritta da Vassilij Solovev- Sedoj e Mihail Matusovskij nel 1955. Forse non tutti sanno che inizialmente si chiamava "Leningradskie vechera", cioè "le serate a Leningrado"(San Pietroburgo al tempo dell'Unione Sovietica). Il titolo della canzone e le parole furono cambiate per decisione del Ministro della Cultura in quanto nel film "Dni spartakiadi" venivano mostrati paesaggi moscoviti. La canzone fu tradotta in molte lingue ed è considerata un grande classico. A Mosca c'è una targhetta in ricordo della canzone, su cui è scritto che essa è stata concepita in quel luogo.
Vediamo le parole (traduzione mia):

Nel giardino non si sentono nemmeno fruscii,
qui tutto è immobile fino al mattino.
Ah, se voi sapeste, quanto mi sono care
le serate intorno a Mosca.

Il fiume si muove e non si muove,
tutto d'argento lunare.
La canzone si sente e non si sente
in queste serate quiete.

Cosa guardi, mia cara, tristemente
piegando la testa in basso?
E' difficile esternare e non esternare
tutto ciò che ho nel mio cuore.

Invece l'alba già si vede del tutto...
perciò, ti prego, sii gentile,
non dimenticare queste estive
serate intorno a Mosca!

Trovo molto bello l'uso ripetuto di affermazione e negazione, a sottolineare il paradosso della quiete "movimentata" di Mosca alla sera, del fiume che si muove e non si muove, di un sentimento che è difficile dire come non dire. La canzone, nella sua semplicità, rende davvero l'idea dello straordinario silenzio percepibile nelle passeggiate notturne a Mosca, una delle cose che preferisco fare quando mi trovo lì. La magia di Mosca è proprio la sua ovattata e rilassata atmosfera notturna, in totale contrasto con la grandezza e il dinamismo diurno. Forse è proprio l'ampiezza delle strade, dei parchi, delle piazze a renderla così calma dopo le dieci di sera, quando d'estate la luce comincia a diradarsi e ci si può godere una Mosca dormiente, illuminata e silenziosa.




lunedì 9 settembre 2013

Incantati dall'Incantatore

Consiglio la lettura di un testo brevissimo ma con delle descrizioni di eccezionale bellezza: "L'incantatore" di Vladimir Nabokov. Si tratta di un'opera scritta nel 1939 e accantonata, precedente a Lolita e che ne doveva essere una sorta di "preparazione", di allenamento. Nella sua sinteticità è per certi versi a mio parere persino migliore del celeberrimo romanzo. Fu riscoperta da Dmitrij Nabokov soltanto negli anni Ottanta, grazie alla sua traduzione inglese.
La vicenda è ambientata in Francia e ha per protagonista un quarantenne vizioso invaghito di una dodicenne, che corre, proprio come un treno, attraverso il suo crescente e peccaminoso desiderio, verso la sua inevitabile e tragica catastrofe- il finale dell'opera ha una lirica eccezionale, e anche nella traduzione italiana riesce ad essere tremendamente forte nell'uso dei termini, in un  crescendo che culmina nell'espressione: "e la pellicola della vita si spezzò".
Oltre a colpire per il finale che, proprio come una pellicola, si spezza assieme alla vita del protagonista, e rompe ogni possibilità di replica, lasciando il lettore attonito e colpito dalla violenza contro la violenza di un violentatore (perdonatemi il paradosso), l'opera è interessante per la maniera in cui riesce a creare un legame empatico con il protagonista, -depravato pedofilo-, e le sue pulsioni, di cui a volte egli stesso inorridisce, ma che lo avviluppano e rappresentano per lui dati di fatto. Lascia sbalorditi la raggelante lucidità della sua perversione- egli è perfettamente consapevole della sua inclinazione deplorevole, che talvolta cerca di giustificare:"e se, invece, la via all'estasi passasse davvero attraverso una membrana sottile, soffice e glabra, che non ha perso la fragranza e il lucore tramite i quali si penetra fino alla palpitante stella di quell'estasi?". l linguaggio a volte è lineare e fattuale, altre volte si abbandona a straordinarie metafore e figure retoriche, che rendono l'io- narrato (con una tale precisione da rendere quasi inverosimile l'uso della terza persona) ripugnante ma allo stesso tempo affascinante (e ci si vergogna quasi, proprio come lui, d'esser affascinati dall'intelligenza e dal linguaggio che incanta di un pedofilo, eufemisticamente chiamato Волшебник, Incantatore). Eppure la magia di Nabokov è proprio nel suo insinuarsi in quel pertugio che sta tra il peccato e il pensiero, tra il desiderio e l'attuazione del desiderio, tra la meraviglia e l'orrore: lo scrittore ci  seduce, ci incanta con le sue parole, messe in bocca a perversi personaggi con turbe psichiche; ha l'ardire di ingannarci ed obnubilarci con la retorica per mostrare lo scempio di un istinto sessuale nefando, eppure non criminale, eppure inattuabile perché improponibile, estremo. E' questo suo limitarsi ad insinuare, ad alludere, che sbalordisce per la sua efficacia sulla nostra moralità: è sufficiente il pensiero per meritare una condanna? Pensare significa già peccare? L'Incantatore lo dice chiaramente: "via, non sono uno stupratore" e ancora: "sono un borsaiolo, non uno scassinatore". Il suo desiderio resta inespresso, trattenuto a stento, e quando straripa non si compie né si appaga, ma esplode in autocondanna. in distruzione- una punizione quasi eccessiva per una semplice pulsione, per quanto raccapricciante- eppure è proprio unicamente lì, in quel pensiero, in quell'insinuazione, ad esserci il velo del crimine, della violazione. Eppure quel velo è sufficiente, quelle parole...fatali. Come non restare incantati e insieme disgustati da frasi come " la luminosità dei grandi occhi un po'vacui, che ricordavano in qualche modo la trasparenza dei chicchi di uvaspina" e ancora: "una foglia avvizzita tremolava fra i capelli di lei, vicinissima al collo, sopra la delicata protuberanza di una vertebra- nel suo prossimo attacco d'insonnia lui avrebbe continuato a strappare via lo spettro di quella foglia, ad afferrarlo e a strapparlo con due, con tre, infine con tutte e cinque le dita"? Le molte descrizioni del desiderio per la ragazzina, declinato senza timore da Nabokov, sono talmente allettanti a livello linguistico, che per un po' ci conducono per mano appresso all'Incantatore, stregati dal piacere delle sue assonanze, di melodie come "il flusso e il riflusso della vestaglia chiara, ancora tremolava davanti ai suoi occhi, come attraverso un cristallo"; sicché restiamo persino sbalorditi quando è lui stesso a lasciare bruscamente la nostra mano e porre fine a quello scempio lessicale, perché- e qui nel confessarlo il nostro rossore aumenta e si fa quasi inquietudine- quella mano non l'abbiamo lasciata di nostra iniziativa, neppure quando la faccenda si era fatta più che scottante. Ha vinto lui, l'Incantatore, nell'aver sfiorato e sedotto non ancora la nostra empatia, quanto il nostro "piacere".

sabato 7 settembre 2013

Cogito, ergo-

La cosa che salta subito all'occhio quando ci si accinge a studiare la lingua russa è un paradosso interessante, in realtà una basilare ovvietà per loro: non hanno la forma del verbo essere al presente. In russo si può dire "io sono stato" e "io sarò", ma non esiste un modo per dire "io sono", se non utilizzando un verbo compensatorio, "sushestvovat'", che però significa in senso più specifico: "esistere". Esiste in realtà l'espressione "è" alla terza persona, ma si utilizza esclusivamente per indicare che qualcosa o qualcuno c'è in un determinato momento, oppure la formula del possesso, costruita alla latina: "a me è...(e quello che in italiano sarebbe complemento oggetto, diventa soggetto della frase). Inizialmente l'assenza del verbo essere, sostituito da un misero trattino, lascia sbalorditi. "Io sono Sergej" in russo si dice: "ya- Sergej", ovvero "io- Sergej". E così via: "io- felice, io- stanco", "lei- bella"...un giorno una persona di squisito umorismo fu colta da un dubbio amletico: ma allora i russi come hanno tradotto l'espressione del film: "io Tarzan, tu Jane?", si chiese. Ottima domanda!
Riflettendo su questo aspetto linguistico, ancora una volta ci troviamo di fronte all'ambigua e meravigliosa profondità di questa lingua, dei significati filosofici e culturali racchiusi nelle sue espressioni. Quella che sembra una formula primitiva, grossolana, ai limiti del povero, è in realtà tutt'altro che una perdita: è un'interpretazione estremamente fine. Il fatto che il verbo essere non si pronunci, e si scriva con un trattino (-), un meno, un non, non fa che arricchire, negandolo, il senso dell'essere. Il verbo essere, in realtà...non è! Può essere colto solo tramite la negazione, l'assenza. Lo stato dell'essere al presente è impronunciabile, perché non appena lo si dice, è già scivolato via nel passato; può essere solo menzionato come già stato o come programma futuro. In questo senso il russo fa un passo avanti rispetto ad altre lingue. In certi idiomi, la parola "dio" non può essere scritta, si deve ricorrere, nuovamente, alla negazione, al trattino; per i russi "Dio", "Бог", non solo si può scrivere, ma con ben precise regole linguistiche che chiariscono quando scriverlo con la lettera maiuscola o minuscola (tranne che ai tempi dell'Unione Sovietica, in cui naturalmente era vietato scriverlo in maiuscolo, evviva l'ateismo). Non è Dio a non esistere, ma l'essere stesso. Anche Dio è soggetto alla regola del verbo essere al presente, dunque non può essere, non "è"- può solo essere stato o dover essere. Cartesio avrebbe avuto un bel grattacapo in Russia, a tradurre perfettamente il suo "cogito, ergo sum"! Perché per i russi io penso, ma ciò non implica che io esista; nel momento in cui penso trascorre il mio pensiero come trascorro io stesso. Io penso, dunque-

Un saluto a Dostoevskij

Molto bella la fermata del metro di Mosca "Dostoevskaya", in onore naturalmente del celeberrimo scrittore. Hanno costruito 4 pannelli, proprio sui muri della banchina dove arrivano e partono i treni, che illustrano i suoi romanzi: Delitto e Castigo, L'Idiota, I fratelli Karamazov e i Demoni. Verso l'uscita c'è il mosaico con il ritratto di Fedor Mihailovich, e più avanti un'iscrizione: "nell'ospedale per senzatetto, nella strada Dostoevskaya, nacque nel 1821 lo scrittore russo F.M. Dostoevskij". Sono andata a vedere l'ospedale per poveri dove egli venne al mondo- suo padre lavorava lì come medico. Si tratta di un edificio circondato da un bel giardino (dove oggi c'è una statua in suo onore) che ha tutt'altro che l'aspetto di una casa di cura per senzatetto. La particolarità è proprio la cura con cui l'edificio, dallo stile classicheggiante in realtà, fu costruito. Non lontano si trova la casa in cui visse i primi anni della sua infanzia Dostoevskij, oggi la solita casa museo. Si è trattato di un fatto del tutto insolito, per me, aver calpestato- come vorrei poter usare altre parole, ma forse questo termine, calpestare, nel suo essere grezzo e sottintendere una violazione, è proprio ciò che descrive in maniera forte l'esperienza- e spiato il luogo in cui il miglior scrittore di tutti i tempi (questo naturalmente è il mio modestissimo parere!) uscì dal ventre di sua madre Maria Fedorovna, urlante, e trascorse i primi tempi. Aver poggiato le scarpe dove lui poggiò le sue, avere guardato ciò che vide lui (che senz'altro doveva avere un aspetto ben diverso all'epoca, questo è indiscusso). Immaginare il piccolo Fedor che scorrazza per le vie di quel tranquillo quartiere nella parte nord di Mosca e gioca con il fratello Mihail, per le stesse vie dove ho camminato io sotto la pioggia, mi ha dato una sensazione mai provata in precedenza. Non potrei dire forte, violenta. Direi lieve, ma...rassicurante. Aver dato un volto (con le sembianze di un luogo, in questo caso) ad un "eroe" l'ha reso, ai miei occhi, più accessibile, quasi familiare. "E' proprio qui- mi ripetevo- qui, dove mi trovo io ora, a Mosca, che lui è nato, che lui ha vissuto, qui e da nessun'altra parte; in un luogo come un altro, che io ho potuto senza alcuna fatica raggiungere, vedere, conoscere". Questa sua vicinanza con me, con le persone comuni, invece di sminuirlo, l'ha reso ancora più interessante. Perché in fondo non fu nient'altro che un uomo, come lo siamo tutti, eppure fu un uomo che scrisse cose straordinarie. In questa piccola espressione, nient'altro che un mucchio di parole, "scrisse cose straordinarie", sta l'abisso che separa gli uomini ordinari da quelli straordinari- di cui parla in Delitto e Castigo, sapendo di far parte della seconda categoria (oh, perché lui, in cuor suo, come tutti i grandi artisti, lo sapeva eccome, d'esser straordinario). L'abisso che separa qualcuno che lascia un segno nella storia da qualcuno che non lo lascia. Ma esattamente il fatto che il segno lo abbia lasciato niente di più e niente di meno che un uomo, nato in un ospedale per poveri, vissuto in un piccolo quartiere come tanti, è ciò che lo rende ancora più straordinario.







Una storia ordinaria

Pubblico la splendida poesia di Nikolaj Platonovich Ogarev (1813-1877) in italiano. La traduzione è mia.

UNA STORIA ORDINARIA

Era una primavera sorprendente!
sulla riva del fiume a sedere stavano-
il fiume era silenzioso, trasparente
il sole era alto, gli uccellini cantavano;
dietro al fiume si allungava la pianura,
verdeggiava calma e rigogliosa;
vicino fioriva il roseto scarlatto,
e v'era di tigli un viale scuro.

Era una primavera sorprendente!
sulla riva del fiume a sedere stavano-
lei era nel fiore degli anni,
i baffi di lui appena spuntavano.
Ah, se qualcuno li avesse scorti
allora, nel loro incontro mattutino,
e avesse guardato i loro volti
o ascoltato i loro discorsi -
come sarebbe stata dolce la sua parola,
la parola dell'amore appena iniziato!
Oh, senz'altro egli in quel momento
nel profondo dell'anima mesta sarebbe rinato!
Li vidi anni dopo in società:
era moglie, ad un altro legata
e lui sposato, e di ciò che fu stato
non una sola parola fu ricordata.
La tranquillità trapelava dai volti,
chiare le vite erano passate, e piattamente
ed essi, incontrandosi fra loro
ne potevano riderne freddamente...

Ma là, sulla riva del fiume,
dove un tempo fioriva la rosa scarlatta,
due modesti pescatori
andavano su una scrostata chiatta
e cantavano canzoni- e oscuro
rimase, a chiunque sigillato,
ciò che laggiù fu detto
e quanto fu dimenticato.


Una meraviglia di legno

C'è chi sogna di andare in America, chi in Giappone, chi in Islanda.
Ebbene, il mio sogno è andare sull'isola Kizhi. L'isola Kizhi è in Carelia, una regione a nord della Russia, sopra San Pietroburgo, vicino alla cittadina di Petrozavodsk. Da Petrozavodsk è possibile prendere dei traghetti che portano all'isola, dove si trova una chiesa interamente costruita in legno, un autentico gioiello che è patrimonio dell'UNESCO: la Chiesa della Trasfigurazione del Signore (Церковь Преображения Господня). Una straordinaria costruzione costellata di mistero, di irrealtà, di bizzarrie. I pezzi di legno di cui è fatta, secondo la leggenda, sono stati intagliati con una sola scure, poi gettata nel fiume dal mastro costruttore; ad ogni modo, il taglio del legno con la scure non con la sega è stato concepito per evitare che si indebolisse e spezzasse. La chiesa che attualmente si può visitare è una ricostruzione di quella del Settecento che venne bruciata da un fulmine, e rispetta la tradizione che la vuole senza chiodi. Sebbene vi siano migliaia di bellissime chiese ortodosse- un'altra che adoro incondizionatamente è la cattedrale di San Basilio della Piazza Rossa- questa non ha davvero eguali per la sua eccentricità e per l'idea romantica che suggeriscono le sue travi di legno, le sue cupole a botte, le sue strutture ottagonali. Mi è capitato di vederne una simpatica riproduzione ad una gara di sculture di sabbia, che ogni anno indicono a Mosca, ed ogni volta che la incontro mi illumino, perché per me è un simbolo, forse un sogno. Forse è patetico adorare qualcosa che non si è visto se non in fotografia, ma non è soprattutto l'immaginazione, la sfuocatura, la lontananza ad rendere qualcosa o qualcuno degno di fanatismo? Quale persona o cosa resiste alla delusione, alla noia, al cambiamento? Che cosa è degno di essere idolatrato, se non in sogno? Se l'avessi vista, probabilmente mi avrebbe deluso. Forse per me quella prodigiosa chiesa di legno è giusto che rimanga un miraggio, un'idea. Un rifugio fiabesco di 22 cupole di legno in cui immergere fantasia, stupore, curiosità e desiderio.


venerdì 6 settembre 2013

I viali oscuri della memoria

Mi è capitato di leggere recentemente un racconto meraviglioso di Ivan Alekseevich Bunin, "I viali oscuri"- probabilmente uno dei più noti dell'autore. Nel racconto si narra di una storia d'amore tra un aristocratico e una serva della gleba- tipica di quell'epoca e classico tema da narrazione. La cosa interessante è che non si parla della storia d'amore in sé, ma dell'incontro casuale, avvenuto 30 anni dopo, tra i due ex amanti. Se Nadezhda, allora splendida fanciulla diciottenne, è ora una quarantasettenne che non dimostra i suoi anni, dai capelli neri e dalla figura rotonda ma leggiadra, Nikolaj, che lei affettuosamente chiama Nikolenka, è un uomo sulla sessantina, straordinariamente somigliante ad Alessandro II e ancora con il suo perché. L'incontro, in una piccola isba dove Nikolaj si era fermato a cambiare i cavalli per il viaggio lungo la strada che porta a Tula, lo coglie totalmente di sorpresa: mai si sarebbe aspettato che la locandiera della piccola stazione di servizio fosse proprio lei, la sua Nadezhda, la fanciulla che tanto aveva amato da giovane. La donna gli spiega di aver ottenuto da anni la libertà dai suoi feudatari e di essersi resa autonoma, gestendo la locanda e una piccola attività di prestiti di denaro. Il suo imbarazzo cresce quando lei comincia a ricordare i momenti in cui erano insieme e la maniera crudele, insensibile in cui lui la lasciò. Come se non bastasse, gli rivela di non essersi mai sposata. Al contrario, Nikolaj confessa d'essersi poi sposato con una donna che ha amato follemente, ma che lo ha tradito e abbandonato, e da cui ha avuto un figlio inetto e scialacquatore. La vita dunque, secondo Bunin, è una ruota che gira: chi lascia sarà lasciato. Ma non è tutto. Nadezhda confessa a Nikolaj di non averlo mai dimenticato né perdonato, e di essere ancora innamorata di lui. Dopo 30 anni! Nikolaj inizialmente è incredulo, quindi cerca di giustificarsi dicendo che "tutto passa". Tutto passa, tutto scorre, è dai tempi di Eraclito che ci si ripete questo assioma. "Tutto scorre, come il fumo bianco dai meli", cantano i famosi versi del poeta Sergej Esenin, scritti 20 anni prima del racconto di Bunin. Un amore, per quanto possa essere stato meraviglioso, per quanto i minuti passati con la donna che si amava fossero "incantevoli, davvero incantevoli" - così si ripete Nikolaj, ripensando alla sua storia passata- con il passare degli anni si dimentica. Non è così per tutti, a quanto pare. Il tempo, con la sua struttura lineare che scorre via in una sola direzione, può davvero curare ogni ferita, far dimenticare ogni cosa, spazzarla via come cadono i fiori del melo, con quell'effetto simile al fumo bianco di cui parla Esenin? Se ascoltiamo Nadezhda e il suo infelice amore mai superato, no. Non tutto scorre come i fiumi, scorre soltanto ciò che è concluso, ciò che può scorrere. Uno stagno non può scorrere, perché è fermo, e l'amore infelice di Nadezhda è come uno stagno. Si è trasformato in uno stagno esattamente per il fatto d'esser stato troncato mentre era ancora vivo, per lei. Se lei e Nikolaj avessero continuato a stare insieme, e si fossero sposati, probabilmente il loro matrimonio sarebbe stato come quello di molte coppie: bello per i primi anni, poi stabile e denso di noia, oppure pieno di tradimenti, fino al divorzio. Forse sarebbe stato felice, ma sarebbe plausibile pensare che Nadezhda avrebbe seguitato ad amare il suo Nikolaj ostinatamente e con la stessa intensità dei 18 anni, se lui fosse stato disponibile, se fosse divenuto suo marito?
Sono cose che è meglio non domandarsi per non soffrire. Meglio fuggire immediatamente dal quell'isba densa di ricordi perduti- se vogliamo pensarla come Nikolaj, che infatti si affretta ad ordinare di preparare subito i cavalli per riprendere il viaggio. Sulla carrozza verso Tula, però, si tormenta, ripensando al tempo trascorso con Nadezdha, ripetendosi: "davvero incantevoli minuti, i migliori mai vissuti" (notare l'uso del termine minuti: perché i momenti di gioia assoluta, nella vita, ahimè, non durano più che qualche minuto). Ora Nadezhda è una donna indipendente, ora lui non è più sposato...che peccato averla persa! Totalmente in balia del rimorso, è sul punto di chiedere al cocchiere di tornare indietro, quando si figura una situazione: Nadezhda, proprio lei, non più locandiera della stazione di servizio, ma padrona della sua casa di Pietoburgo, madre dei suoi figli??? La sua risposta è perentoria: scuote la testa. Le differenze sociali sono più forti persino dell'amore, è forse questa la morale del racconto? Forse.
Ma forse la chiave di lettura è un'altra, e sta proprio nel suo titolo, "I viali oscuri", tratto dai versi di un altro poeta vissuto prima di Bunin, cui egli forse fa omaggio:  Nikolaj Ogarev. Nel racconto di Bunin, il personaggio di Nadezhda ad un tratto cita i versi di Ogorev, ricordando a Nikolaj di quando stavano insieme e lui voleva sempre che lei leggesse " riguardo tutti quei viali oscuri"...ed è proprio in quella poesia, davvero splendida, che viene svelato un mistero. La poesia si intitola Обыконвенная повесть, "Una storia ordinaria". Forse la storia cui allude Ogarev è comune perché capita a quasi tutti gli innamorati, ma le parole con cui la esprime sono tutt'altro che ordinarie: direi straordinarie. La poesia descrive due amanti nel fiore della giovinezza, in riva al fiume, tra rose selvatiche e viali di tigli oscuri, che solo a vederli o a sentire i loro discorsi di innamorati, avrebbero spazzato via la tristezza dall'anima. Ma eccoli che si incontrano anni dopo: entrambi sposati ad altri, a ridere freddamente del loro trascorso amore, come se non fosse stato nulla.
Eppure, - prosegue la poesia- su quella riva del fiume, là dove cresceva la rosa selvatica, passavano due pescatori su una barchetta scrostata, cantavano canzoni..."e rimase oscuro, a chiunque sigillato, tutto ciò che laggiù fu detto, e quanto fu dimenticato". Il senso di questa storia "ordinaria", è proprio nell'ultima parola: dimenticato. Tutti i discorsi meravigliosi ed entusiasti di giovani innamorati sono rimasti chiusi là, sulla riva del fiume, vicino al viale dei tigli, e nessuno mai saprà cosa racchiudevano quelle parole ormai lontane, neppure gli amanti stessi, che se ne sono scordati. Forse allora il nostro Nikolaj, quando da giovane faceva leggere alla sua amata servetta Nadezhda i versi di Ogarev, voleva anticiparle proprio questo: che di ogni amore, per quanto meraviglioso possa essere, indipendentemente dalla sua attuabilità concreta e dalla sua durata, in futuro non resteranno che parole dimenticate, intrappolate nei rami degli alberi, sulle panchine, chiuse tra i cespugli, disperse lungo la riva del fiume, che nessun essere umano può più penetrare e riascoltare. E così lo scuotere la testa di Nikolaj non sarebbe tanto perché egli non può superare il pregiudizio verso una donna che occupa un livello inferiore nella scala sociale, ma perché non può fare nulla contro il fatto che l'amore sia svanito come svanisce ogni cosa. Non può vincere, cioè, il tempo.

La colazione con pane nero di Fedotov

Forse anche a voi sarà capitato di fare colazione con del pane, quando nel frigo non c'è davvero niente di appetitoso. Certo che un piccolo pezzo di pane come unico pasto del mattino non è proprio l'emblema dell'abbondanza e della ricchezza, specialmente in un mondo dove questi aspetti avevano un valore assoluto- il nostro mondo, in questo senso, non è dissimile da quello russo dell'Ottocento, in cui ogni persona aveva valore innanzitutto in base alla sua posizione nella scala sociale; dove ogni più piccolo dettaglio dell'abbigliamento o del pasto rappresentavano un biglietto da visita essenziale. Oggi esistono ugualmente scale sociali, oggi come ieri "l'abito fa il monaco", l'unica differenza è che si sono centuplicati i codici di linguaggio in cui ogni persona, abbigliandosi (dunque indossando una maschera), intende comunicare al mondo esterno una precisa immagine di sé. Alla galleria Tretaykovskaya di Mosca, la più famosa e nota esposizione permanente di dipinti russi moderni, si trovano  dipinti davvero interessanti di Fedotov su questo tema, uno dei quali in particolare mi ha colpito. Fedotov, pittore di famiglia poverissima, morto a 37 anni per una malattia "degli occhi e dell'anima", fu un grande esponente del realismo pittorico. Il filo conduttore delle sue opere è quello della menzogna, l'illusione, l'ipocrisia: aspetti che caratterizzavano la decadenza del mondo nobile russo della sua epoca, la prima metà dell'Ottocento. Nel 1861, lo zar Alessandro II abolirà la servitù della gleba, privando i nobili di un privilegio ormai obsoleto, e portando la crisi dell'aristocrazia verso il suo culmine. Già all'epoca di Fedotov erano percepibili ridicoli paradossi che vedevano aristocratici disperatamente aggrappati al loro titolo di sangue, ma senza un copeco per comprarsi abiti nuovi o un pasto completo. Il dipinto "La colazione di un aristocratico" illustra questa comune ed imbarazzante situazione in maniera magistrale e curiosa. Nel quadro vediamo quello che, formalmente, è un aristocratico, nella sua bella casa con mobili pregiati e tappeti, in vestaglia e copricapo, con il suo cagnolino bianco, che sta facendo "colazione" con un pezzo di pane nero, quando all'improvviso bussano alla sua porta. L'uomo è ritratto con la testa rivolta verso l'ingresso e la nuova visita inaspettata, mentre con la sua mano destra si accinge a coprire  il misero pezzo di pane della sua frugale colazione, usando la prima cosa che gli è capitata a tiro, ovvero un libro. Questo gesto di occultamento della sua decadenza, della povertà in cui da tempo è incappato, è buffo e assai ironico, ma esprime il dramma che attraversava l'aristocrazia russa dell'epoca, intrappolata in un sistema vecchio e rigido di privilegi e caste che iniziava a stridere e scontrarsi con le nuove esigenze e il nuovo sistema sociale ed economico, che avrebbe portato alla Rivoluzione del 1917. L'attualità straordinaria di questo dipinto è proprio nel fatto che oggi le cose non sono poi molto diverse. Se al mattino, a casa vostra, all'improvviso e senza invito vi sorprendesse un ospite indesiderato, non nascondereste anche voi le tracce che vi possano dipingere ai suoi occhi come un fallito?

giovedì 5 settembre 2013

La lingua russa e le sue parole "demoniache"

"Homo faber fortunae suae", l'uomo è artefice della sua sorte, può costruirsi il futuro che desidera, così dicevano i latini. Questo, naturalmente, in teoria. In teoria il libero arbitrio esiste, in pratica ogni giorno ci si deve scontrare con migliaia di "no", "è chiuso", "voto zero", "non è possibile", e una miriade di altre irritanti espressioni che fanno capire che no, purtroppo se nella vita potessimo fare ciò che vogliamo, saremmo tutti sdraiati su un'amaca, o attorniati di donne/uomini stupendi, ma soprattutto di buonumore. Ma non divaghiamo. Il punto è che la parola faber ha una connotazione positiva: il ""faber" del mondo latino è colui che fa: l'artigiano, il costruttore. Il nobile mestiere cui allude questo termine, quello del fabbro, è sinonimo di benefattore. In greco antico, invece, fabbro si traduce sidereus, dalla parola "sideros", cioè ferro. La radice indoeuropea di sid significava luminoso, splendente. I fabbri dell'antica Grecia, in questo senso, erano bizzarri artigiani che lavoravano con il ferro e con altri metalli, connotandosi come ambigui connettori tra il mondo divino (splendente) e il mondo terreno: demiurghi che grazie alla loro fine arte erano in grado di forgiare una materia apparentemente rigida e indomabile e creare bellezza. Il fabbro dunque non è solo un artigiano, ma una sorta di figura intermedia, di demone (basti pensare ad Efesto, il fabbro degli dei dell'Olimpo, e ai suoi misteriosi rimaneggiamenti sul mondo).
La lingua russa ci porta ancora più avanti in questa connotazione del fabbro, svelandoci qualcosa di particolare se non inquietante. In russo fabbro si dice kuznets. L'etimologia della parola è da ricondurre a quella di kozn', cioè intrigo (parola naturalmente che in russo, guarda a caso, è di genere femminile). L'intrigo ha per antonomasia una connotazione negativa, demoniaca, maligna: ciò che è difficile, ingarbugliato, annodato non può che essere una trama oscura. Il loro fabbro, dunque, non è un buon ed innocuo artigiano, ma un misterioso e macchinoso creatore di intrighi, garbugli, forse inganni. L'etimologia di molte parole russe, spesso, mostra l'ambiguità e il contrasto rispetto alla connotazione latina, occidentale delle cose: rivela il dark side, il lato oscuro, del mondo e dell'essere umano, mostrando attraverso il linguaggio le innumerevoli sfaccettature, spesso anche inquietanti, che può avere un concetto, una persona, un oggetto. Questo è uno degli aspetti che personalmente mi intrigano di più della lingua russa: la sua complessità tendente al pessimismo, al diabolico. L'essere umano (perdonatemi la banalità del concetto) contiene in sé non soltanto il Bene, ma anche e soprattutto il Male- per parafrasare grossolanamente concetti che nella cultura russa più che mai portò alla luce Dostoevskij. Egli affermava ironicamente che i grandi uomini andrebbero tagliati a metà, divisi, poiché in loro, come in tutti, c'è un lato malefico che, se nel caso degli uomini "piccoli" (in senso di poco facoltosi, che non hanno grande influenza sul mondo) non può fare che minuscoli danni, nel caso di quelli grandi può portare a funeste catastrofi. Interessante notare come, seguendo l'idea di Dostoevskij, bisognerebbe fantasticamente risfoderare proprio il mitologico fabbro Efesto per dividere gli uomini a metà, come già fece nel famoso mito greco di Aristofane della "metà perduta", citato da Platone nel Simposio: gli uomini anticamente erano doppi, tondi e provvisti di entrambi i sessi; perfetti e tracotanti, osarono eguagliarsi a Dio (Zeus) e per punirli egli ordinò ad Efesto, il fabbro, di dividerli in due parti; da quel momento ogni uomo cerca la sua metà perduta. Dostoevskij, in questo senso, riprenderebbe il mito greco, con l'idea di tagliare l'uomo a metà, ma ribaltandolo "alla russa": la divisione dell'essere umano, secondo lui, non sarebbe una perdita di perfezione, bensì un notevole miglioramento!